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Micco Spadaro, La rivolta di Masaniello del 1647

Micco Spadaro, La rivolta di Masaniello del 1647

Per il numero odierno di Pandemia e dintorni abbiamo scelto di presentare il dipinto di Micco Spadaro sulla rivolta di Masaniello in quanto anche se non è in tema col rapporto tra arte, epidemie e opere d’arte votive, rientra in quel ciclo pittorico che l’artista realizzò sugli accadimenti della vita napoletana nella prima metà del Seicento. Non ci soffermeremo su un episodio che gode di una tale notorietà che, ancora oggi, la figura di Masaniello è considerata, non solo in Italia, l’archetipo dei capi rivoluzionari della storia. Vogliamo ricordare, però, che, schierati su fronti opposti, tra i protagonisti di quel turbolento episodio della storia napoletana troviamo due puteolani. Il primo, Maso Carrese, era un produttore di frutta che riforniva i venditori di piazza Mercato e che pare sia stato il primo, quel 7 luglio del 1647, a ribellarsi ai gabellieri per l’ennesimo aumento fiscale. La rissa che ne nacque fu la scintilla che scatenò i tumulti dei rivoltosi. Il secondo fu il vescovo Martino de Léon y Cardenas che il viceré don Giovanni d’Austria, inviato a Napoli a sedare la rivolta, nominò suo vicario al comando delle forze militari spagnole.

Nel dipinto si vede come la piazza del Mercato sia occupata dai rivoltosi che al grido di “viva il Re di Spagna, morte al malgoverno” chiedevano la fine dell’opprimente pressione fiscale. Anche in questa tela la protagonista della scena è la folla, che Domenico Gargiulo raffigura in gruppi di popolani che si incrociano e si mescolano tra loro sullo scenario della piazza. Sullo sfondo del dipinto si nota il golfo con il Vesuvio e nell’angolo a destra la chiesa del Carmine con il campanile e davanti la cappella dedicata a Corradino di Svevia che verrà abbattuta nel Settecento. A sinistra della chiesa troviamo la cortina dei palazzi che circondano la piazza, al centro della quale vi è un piccolo monumento che avrebbe dovuto contenere delle epigrafi con scritte le concessioni fatte dal viceré duca D’Arcos, ma non venne mai completato e successivamente distrutto. Lungo il perimetro del monumento è visibile la lunga fila delle teste mozzate dei capi dei rivoltosi che furono giustiziati alla fine della sommossa, a simboleggiare gli effetti ma anche il fallimento della rivolta finita nel sangue.

Da quanto descritto si intuisce come il dipinto non riporti un momento particolare ma si compone di diversi episodi dell’insurrezione, infatti, ad una attenta osservazione è possibile notare come Masaniello sia stato raffigurato due volte; sullo sfondo ancora nelle vesti di pescivendolo mentre arringa il popolo e in primo piano quando divenuto il protagonista di quelle giornate lo vediamo, imborghesito anche nel vestire, in groppa ad un cavallo nero e con un cappello rosso in testa. Stando alle cronache, Masaniello avrebbe fatto parte della Compagnia della morte a cui era affiliato anche Micco Spadaro. Si trattava di una società segreta di abilissimi spadaccini che nottetempo aggredivano e uccidevano i soldati spagnoli di stanza a Napoli, per dimostrare che il popolo napoletano mal sopportava il loro dominio. Particolare curioso è che la Compagnia della morte era stata creata dal pittore Aniello Falcone allo scopo di vendicare l’uccisione di un amico per mano spagnola. Oltre a Falcone e Spadaro vi aderirono anche altri due rinomati nomi della pittura napoletana, Salvator Rosa e Mattia Preti. Come si può intuire si trattava di quattro artisti dalla singolare personalità che, a quanto pare, oltre ai pennelli padroneggiavano benissimo anche la spada.

Pandemia e dintorni… N. 10 del 5 giugno 2020

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